Kill Yr Barbero
Questo numero di Between The Lines fa una deviazione. Perché perdersi continua, almeno per me, a essere meraviglioso. Tanto a ritrovare la via c'è sempre tempo.
Il primo CD dei Sonic Youth che ascoltai era "Daydream Nation". L’anno era indicativamente il ‘93, avevo tredici anni e pensavo che quella copertina racchiudesse tutti i segreti dell'universo. Solo molti, molti anni più tardi scoprii che era un dipinto di Gerard Richter, che sarebbe nelle decadi a venire diventato una delle mie ossessioni artistiche.
Dicevo, dal walkman allo spazio della mia camera c’era una cappa invisibile col potere di spegnere il mondo fuori. Sfogliavo riviste, sottolineando frasi che non capivo del tutto ma che avevano il suono delle cose importanti. Fu solo qualche anno dopo che scoprii "Kill Yr Idols", quella canzone del 1983 che sembrava un manifesto programmatico: tre parole che racchiudevano l'essenza stessa dell'atteggiamento punk verso qualsiasi forma di autorità culturale.
Trent'anni dopo, scrollando i feed social, mentre mi imbatto in ex-adepti di Alessandro Barbero che si stracciano pubblicamente le vesti perché il professore ha osato esprimere un'opinione complessa (Non allineata? Divergente? Incoerente? Mettete qui l’aggettivo che preferite) sulla guerra in Ucraina, mi chiedo dove sia finito quello spirito. "Mi ha deluso," scrive uno. "Non lo seguirò più," piagnucola un altro.
Lo stesso Barbero che veniva ammirato per la sua capacità di mostrare le sfaccettature della Storia, di problematizzare le narrazioni ufficiali, di dirci che Roma non è caduta in un giorno ma in cinque secoli di lento declino – proprio lui ora viene ripudiato perché si rifiuta di ridurre un conflitto geopolitico complesso a un duello western tra buoni e cattivi.
Non è importante l’opinione in sé- che, come tutte le opinioni ha il carattere supremo della soggettività- ma cosa ci facciamo noi con quell’opinione.
E anche quando ci consideriamo intellettuali, critici, pensatori e pensatrici indipendenti non riusciamo a sopportare che il nostro profeta non ripeta esattamente il catechismo che ci aspettiamo. Facciamo i capricci come adolescenti a cui hanno tolto il cellulare, annunciando al mondo la nostra delusione come fosse la fine di una relazione amorosa.
Però ecco: non si tratta di passare da un'idolatria all'altra, da un'ortodossia all'altra. Forse, semplicemente, si tratta di crescere. Di capire che le persone che ammiriamo sono umane, piene di contraddizioni, a volte brillanti e a volte irritanti. Di accettare che il loro valore sta proprio nella capacità di farci pensare, non di pensare al posto nostro.
La liturgia della santificazione digitale segue un protocollo quasi monastico nella sua rigidità rituale.
Primo: l'individuazione del soggetto dotato di peculiare carisma intellettuale.
Secondo: l'elevazione progressiva del suddetto a una dimensione metafisica attraverso la moltiplicazione di contenuti celebrativi.
Terzo: l'istituzione di una comunità di adepti che si riconoscono reciprocamente attraverso codici linguistici condivisi e riferimenti criptici (meme, citazioni decontestualizzate, espressioni gergali che fungono da shibboleth).
Quarto: l'elaborazione di un'ermeneutica collettiva che trasforma ogni pronunciamento dell'idolo in testo sacro da interpretare e diffondere.
Quinto e ultimo: l'instaurazione di un sistema immunitario ideologico che respinge automaticamente qualsiasi deviazione dall'ortodossia stabilita.
In questo meccanismo di venerazione non c’è spazio per l’uccisione dei propri idoli. Che non significa ripudiarli fisicamente, ovviamente, ma liberarsi dalla tirannia della loro presunta infallibilità, riconoscere la loro umanità con tutte le sue contraddizioni, e infine emanciparsi dalla necessità patologica della loro approvazione simbolica.
Ciò che rende questo fenomeno interessante, a mio parere, è la sua contraddizione interna: le medesime persone che proclamano a gran voce la propria indipendenza intellettuale e il proprio spirito critico sono quelle che, con maggiore zelo, si sottomettono al giogo della venerazione acritica. Un paradosso nemmeno particolarmente complesso.
Quando il Maestro osa formulare un'opinione non perfettamente sovrapponibile all'aspettativa del seguace, si innesca un meccanismo psicologico che potremmo chiamare "sindrome da tradimento intellettuale".
I sintomi sono facilmente riconoscibili: iniziale incredulità ("Non può averlo detto davvero"), seguita da una fase di negazione ("È stato frainteso"), per poi precipitare in un'indignazione spettacolarizzata ("Mi ha profondamente deluso") che culmina nell'atto rituale dell'unfollow, spesso accompagnato da un comunicato pubblico che ha la stessa solennità di una scomunica medievale.
Ma, anziché cogliere l'occasione per decostruire il rapporto idolatrico, per relativizzare l'autorità della figura ammirata, per riappropriarsi della propria autonomia di pensiero, il seguace deluso sceglie la via più semplice: ripudiare interamente l'idolo caduto, cercandone immediatamente un altro che possa prenderne il posto sull'altare vacante. Un circolo vizioso che garantisce la perpetuazione del meccanismo, semplicemente trasferendolo su un nuovo oggetto di culto. È un fenomeno che, osservato con la dovuta distanza, mi provoca ilarità. Immagino un tribunale dell'Inquisizione social che, anziché roghi e torture, commina sentenze di ostracismo patetico: "Ti condanno a essere unfollowato e a non godere delle mie views sui tuoi video Youtube!”.
Bauman ci ha parlato di società liquida, ma forse dovremmo aggiornare la metafora. Siamo forse ormai allo stato aeriforme. Una società gassosa: instabile, volatile, pronta a espandersi o contrarsi vertiginosamente al minimo cambiamento di temperatura emotiva, capace di occupare istantaneamente ogni spazio disponibile e, soprattutto, altamente infiammabile. Basta una scintilla - una frase estrapolata dal contesto, un'opinione leggermente disallineata - per provocare deflagrazioni mediatiche di portata considerevole.
Questa natura gassosa si manifesta con particolare evidenza nella velocità con cui l'idolatria si trasforma in esecrazione. Lo stesso Barbero che ieri era celebrato come il Virgilio del nostro tempo, la guida sicura attraverso i meandri della complessità storica, oggi viene precipitato nell'abisso dell'irrilevanza per aver osato una sfumatura di grigio in un dibattito che il tribunale dell'opinione pubblica ha decretato possa contemplare esclusivamente il bianco e il nero. Ripeto, non è importante l’opinione in sé.
Il meccanismo di idolatria-delusione-ripudio rivela però un aspetto inquietante della nostra contemporaneità: una regressione collettiva a modalità cognitive tipicamente infantili.
La necessità spasmodica di figure genitoriali idealizzate, l'incapacità di tollerare l'ambivalenza, la tendenza a scindere la realtà in compartimenti stagni di "tutto buono" e "tutto cattivo" sono tutti indicatori di un'immaturità emotiva che, paradossalmente, si manifesta proprio in quegli ambiti intellettuali che dovrebbero essere caratterizzati da maggiore complessità di pensiero.
Questa infantilizzazione non è casuale: è il prodotto di un ecosistema mediatico che premia la semplificazione, l'estremizzazione e la polarizzazione. Un sistema che ha metabolizzato la lezione di BF Skinner ( i comportamenti che vengono premiati tendono ad aumentare di frequenza, i comportamenti che vengono puniti tendono a diminuire di frequenza, i comportamenti che non vengono né rinforzati né puniti tendono ad estinguersi) trasformandola in modello di business: rinforzo positivo immediato (like, condivisioni, engagement) per chi si allinea alla narrazione dominante del proprio gruppo di riferimento; punizione altrettanto immediata (shitstorm, ostracismo) per chi se ne discosta anche minimamente.
La guerra in Ucraina, con la sua stratificazione di implicazioni geopolitiche, storiche, culturali ed economiche, rappresenta il tipo di fenomeno che richiederebbe un approccio intellettuale sofisticato, sfumato, multi-prospettico. È precisamente il tipo di argomento su cui ci si aspetterebbe che un intellettuale come Barbero articolasse un'analisi complessa, non riducibile a slogan o a posizioni manichee. E di fatto, le posizioni di Barbero sul conflitto ucraino si caratterizzano proprio per questa complessità che tanto irrita i fautori del pensiero binario. Nelle sue analisi, lo storico ha manifestato una certa comprensione per le preoccupazioni russe rispetto all'espansione della NATO verso est, ha sottolineato il valore della contestualizzazione storica ricordando le promesse occidentali non mantenute dopo la caduta dell'URSS, ha messo in guardia contro la demonizzazione acritica di Putin (pur riconoscendone l'autoritarismo), e ha espresso scetticismo verso l'efficacia delle sanzioni e l'invio massiccio di armi. Contemporaneamente, ha condannato l'invasione russa definendola illegittima, ha riconosciuto il diritto dell'Ucraina all'autodeterminazione e ha stigmatizzato la propaganda del Cremlino.
In sostanza, ha rifiutato di indossare la maglietta da tifoso di una delle due squadre in campo, preferendo mantenere quella postura analitica che dovrebbe essere la cifra distintiva dell'intellettuale, del Maestro, in ultima analisi dello storico. Con il risultato, ovviamente, di deludere chi si aspettava da lui una professione di fede incondizionata alla narrazione preferita, qualunque essa fosse. La stessa persona che apprezzava Barbero per la sua capacità di mostrare le sfumature della Storia, di problematizzare le narrative semplificate, di introdurre dubbi e complessità dove altri vedono certezze monolitiche, improvvisamente pretende da lui una chiarezza cristallina, una posizione netta, una dichiarazione di appartenenza a uno dei due schieramenti in campo.
L'intellettuale viene quindi ripudiato nel momento stesso in cui esercita quella funzione per cui era stato inizialmente celebrato.
Se esiste una sindrome, quindi una patologia, deve esistere una terapia. Il vaccino contro l'idolatria intellettuale potrebbe comporsi di alcuni antigeni fondamentali:
- Antigene della complessità: esporsi a visioni contrarie per comprenderne la logica. Uccidere non solo gli idoli esterni, ma anche le proprie idee feticcio.
- Antigene dell’imperfezione: accettare che ogni persona è fallibile e contraddittoria. L'idolo ucciso torna umano.
- Antigene dell’autonomia: formulare giudizi indipendenti e mantenere distanza critica da ogni autorità. Emanciparsi, non sostituire un padrone con un altro.
- Antigene dell’ambivalenza: sviluppare tolleranza all'ambiguità e alle contraddizioni. Resistere al fascino delle semplificazioni rassicuranti.
C'è qualcosa di profondamente liberatorio nell'abbandono dell'idolatria, nella rinuncia alla perfezione proiettata sull'altro, nell'accettazione della complessità irriducibile del pensiero umano. È un disincanto necessario, una forma superiore di maturità intellettuale non posata, consapevole.
E allora, mentre con indignazione cancelliamo l'ultimo podcast dal nostro smartphone, mentre dichiariamo pubblicamente la nostra delusione con la solennità di chi annuncia una conversione religiosa, ripensiamoci Punk, abbandoniamo quel bisogno patologico di avere qualcuno da idolatrare.
Kill your Barbero, certo. Ma soprattutto, kill your inner fankid.
Breve recap delle prossime cose in giro:
- Torino, Sabato 10 maggio, Libreria Borgopò- 18 30
In dialogo con Roberto Varrasi e Andrea Calogero, presentiamo il libro di Flavia Restivo “Gli svedesi lo fanno meglio”, con la moderazione di Emiliano Cavalli.
Torino, Sabato 17 Maggio, Nora Book & Coffee- 18 30
In dialogo con Barbara Centrone, presentiamo “Rivoluzione Non Binaria” di Lou Ms. Femme.
Firenze, Venerdi 23 Maggio, Videns Festival
Apro la giornata, con una lievissima ansia da prestazione e uno speech con un titolo che sembra serissimo: “Il paradigma dell’interessamento: come le serie tv hanno anticipato il futuro della comunicazione”.
Tutte le info qui.E, come sempre, se ci vediamo sono felice.